«SUMMA CONTRA GENTILE» : MARIO SIRONI, IL FASCISMO E IL MITO COME SOSTANZA AUTONOMA : ABBOZZO DI ANNOTAZIONI CRITICHE IN MERITO AD ALCUNI SAGGI

Si è chiaramente consapevoli di non poter fornire risposte certe né, certamente, condivisibili, nondimeno il tentativo è stato condotto innanzi e, se non altro, è stata l’occasione per una cosiddetta full immersion, un bagno integrale nel mondo fascista e prefascista (con buona pace di Gentile, che non intende sentir parlare di protofascismi), chiarendosi tanti aspetti sino ad ora sconosciuti o non sufficientemente evidenti, perspicui. Ma con la consapevolezza, nel raccordare il passato al presente, che il fascismo non è giammai morto del tutto e che può risorgere (ed è di fatto risorto nella Contemporaneità a noi prossima) sotto altre spoglie, più sottili, più insinuanti, più pervasive, meno individuali per quanto più individualisteggianti, in una sorta di libertà (pseudo)democratica nel Totalitarismo neoliberista. Al quale i fascismi non servono più.

La presenza su questo sito di un intervento che esamina lo studio di Emily Braun dedicato al pittore Mario Sironi, trova immediata giustificazione nel tema affrontato dall’autrice, vale a dire la relazione tra mito/componente mitica, pittore sassarese e – va da sé – fascismo; lo studio della Braun cerca di mostrarci quanto il mito sia stato in grado di permeare pensieri, azioni e volontà di Mario Sironi e di altri artisti della sua generazione.

Ma il tema va ben oltre Sironi: difatti, come sarà chiaro quando verranno prese in esame le analisi di Emilio Gentile, dedicate – di fatto – all’autonomia del pensiero mitico, l’arco temporale considerato si allunga a dismisura all’indietro, divenendo il pensiero mitico una sorta di permanenza ad onta del fluire dei secoli, dell’affermarsi del pensiero razionale, del susseguirsi dei modi di produzione, dei sistemi politici e dell’evoluzione delle idee intorno alla politica e alle sue variegate concretizzazioni. Data la stretta dipendenza del saggio della Braun dagli studi di Gentile, non è stato possibile esaminare il primo trascurando taluni studi del secondo, in un rincorrersi di richiami intorno al vero nodo del problema per entrambi: il mito, per l’una correlato all’azione di un pittore, di una generazione di artisti e dell’arte in genere, per l’altro (di fatto) all’agire politico – si sta per dire – tout court. E non solo per loro: all’uopo si ha in mente, in tema di costruzione delle tradizioni, il basilare e imprescindibile saggio di George Mosse su La nazionalizzazione delle masse, riferimento costante negli studi di Gentile, a sua volta aperto alle suggestioni idealistiche di un Claude Lévi-Strauss e, di fatto, all’idea della vigenza del mito e del simbolo nei millenni ad onta del trascorrere dei secoli e del mutamento delle formazioni economico-sociali.

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