1. Ennesimo tentativo di dar conto di ciò che sta dietro alla caccia alle streghe, al Sabba, alla figura della strega in quanto esclusivo elemento femminile.
La critica, di per sé, è giusta, nel senso che la lettura delle fonti inquisitoriali operata da P. conduce dritta verso il netto rifiuto di una interpretazione in senso esclusivamente femminile della figura della strega. E’, quindi, più corretto integrare nello stereotipo sabbatico-stregonesco l’elemento maschile e in tal modo non si può non condividere l’analisi di P.
Ma P. non si ferma qui. Sull’onda dei suoi precedenti studi, tenta di superare l’Aldiquà della lettura di inquisitori e storici della stregoneria per inoltrarsi nell’Aldilà di ciò che a suo giudizio è il vero motore primo dello stereotipo stregonesco femminilmente determinato. Ovvero la ruolizzazione sessuale esasperata, l’erotismo compresso, la negazione di qualsivoglia (seppur implicita) messa in discussione dello status quo sessuale allora esistente, la riconferma quale valore supremo della “sacra famiglia”.
Va tutto bene, Nondimeno, di primo acchito, ciò che appare è il rovesciamento dell’elemento sessuale esasperato operato da trattatistica e, per certi versi, esasperato dagli studi Otto-Novecenteschi: dal femminile sovradeterminato, P. transita al sesso tout court come elemento liberatorio-libertario dapprima represso e poi nucleo portante della rivoluzione, d’una sortita dall’alienazione per sfociare nelle società non alienate e non alienanti.
Come tutte le interpretazioni unilaterali (seppure aperte – come premette lo stesso P. – ad altre interpretazioni), questa se, da un lato, rifiuta giustamente altre interpretazioni unilaterali (una per tutte: la visione murrayana del culto stregonico quale culto di fertilità, riproposta da C. Ginzburg nella Storia notturna), ha il limite di tante altre interpretazioni unilaterali, che tendono a ricondurre all’unità a molteplicità del reale, soprattutto quando questa reductio ad unum è di carattere squisitamente ideologico, come nel caso della sessualità in tutte le sue sfaccettature.
Non solo. P. tenta la coniugazione di suggestioni para-marxiane sulla rivoluzione e sulla liberazione con ipotesi idealistico-spiritualiste (o irrazionaliste) di matrice orientale, occultistico-alchemiche, ecc., tese alla riunificazione delle polarità umane, della dicotomia presente nella natura umana (maschio/femmina, ying/yang, sole/luna e così via). Il comparativismo adottato, se riposa sulla giusta premessa dell’unitarietà della natura umana, esaspera in modo fuorviante il discorso e ciò che alla fine rimane è il puro nulla. Vale a dire, da un lato una critica radicale e puntuale alle fonti antiche e moderne ma, dall’altro, il non aggiungere spunti nuovi rispetto a quel che già si può pensare, marxianamente, intorno a un nuovo tipo di società. Prefigurare, con P., una critica sessuale al sessismo delle istituzioni di un tempo, significa fare della storia ideale o, peggio, della storia come noi l’avremmo voluta.
Nonostante il giusto risalto alla presenza dell’elemento maschile entro lo stereotipo sabbatico-stregonesco, risulta ben difficile leggere la storia della caccia alle streghe e della sue premesse come la lotta aperta e dichiarata di un potere contro un altro, antagonista e cosciente del suo esserci e del suo lottare. In questo senso, l’ottica di P. tende ad accostarsi ad altri approcci, di natura “politicistica”, che tendono a ricondurre le dinamiche storico-sociali alla contrapposizione di schieramenti di fatto politicamente determinati (cfr. Giorgio Galli, occidente misterioso). Che gnostici, ermetici, alchimisti, occultisti vari, streghe, maghi di varia stirpe, ecc. non abbiano trionfato è un dato ovvio (giudicato a posteriori) e per certi versi positivo, nel senso che nella preistoria della storia umana si sono accumulate le contraddizioni che ora ci si parano dinanzi e che stanno conducendo il capitalismo (con annessi e connessi) verso sempre più esasperate tensioni e verso la presa di coscienza di un suo razionale superamento. Ciò che non fu in passato nelle ricerche, ad esempio, degli alchimisti e ciò che non è nelle dottrine orientali sulla necessità di una ricomposizione dell’essere umano; ciò che non fu nell’esasperato dualismo di correnti religiose e ciò che non è, per fortuna, nella ricerca di equilibrio interiore di troppi gruppi para-religiosi variamente rampollanti.
A noi tutti fanno orrore le stragi di innocenti perpetrate nel corso dei secoli in nome di… alla stessa stregua fanno ribrezzo i gulag, le guerre di espansione e i processi di globalizzazione e di riduzione all’uno delle diversità culturali. Ma da qui a fare della storia “morale” ce ne passa o, peggio della storia “moralistica”, con tanto di virtuali antagonisti ai protagonisti in negativo che prevalsero nel corso dei secoli e che paiono ancora risultare vincitori oggi (romani, franchi, papato, monarchie varie, imperi, repubbliche più o meno democratiche, imperialismi, capitalismi, ecc.). Vien da attribuire a P. ciò che Propp disse di se stesso e del suo metodo nella polemica che lo contrappose a Lévi-Strauss, cioè che nella stesura del suo Morfologia della fiaba egli partì dai dati empirici, reali, materiali, mentre le strutture degli strutturalisti erano tutte nella loro testa, essendo egli, appunto, un filosofo, marxianamente solo un filosofo!
2. Con l’inizio degli anni ’90 si consuma la parabola di studioso marxiano di P. Oramai lontana la sua antologia sul pensiero di Marx intorno alla religione, di lui serbiamo un buor ricordo, a epigrafe del quale valgono le parole di Cecilia Gatto Trocchi nel suo saggio su La magia: “Il nuovo magismo è ampiamente accettato anche dalla cultura di sinistra, la quale attraverso l’alchimia e l’occultismo cerca una palingenesi dell’uomo e del mondo che l’ideologia non ha compiuto” (p. 71).
Il P. la palingenesi si chiama “sesso”, cioè riappropriazione di sé attraverso la negaizone di tutto ciò che la traidzione occidentale e cristiana ha elaborato in tema di sesso, rapporti sessuali, famiglia, ecc. Beninteso, lungi da me negare il valore liberatorio del sesso e dei rapporti sessuali (leggasi: negare il diritto di tutti a una sessualità libera e disinibita), nondimeno, la posizione di P. mi appare come l’esatto rovesciamento di quella degli inquisitori; con, in più, l’aggravante dell’ideologia, cioè della falsa coscienza, ovvero dell’esasperazione di un elemento a danno di altri.
La storia, che è storia delle lotte di classe, non si riduce alla sola storia della lotte dei sessi anche se, occorre riconoscerlo, la liberazione delle coscienze passa anche attraverso la liberazione dei corpi e al libero accostamento degli esseri umani (non necessariamente di soli uomini e donne).
Certo, P. fin dall’inizio afferma che il giudizio della storia è un giudizio a tutto tondo, ivi compreso quello morale. Nondimeno, col solo giudizio morale (sto per dire: moralistico) non si va molto distanti, per certi versi non si fa storia e neppure lotta di classe. Il problema non è che lo “stragismo” (verso i “diversi”) feudalistico-clericale, statuale-clericale o solo clericale non faccia schifo, certo che fa orrore: il problema, però, è non confondere le cause prime del divenire storico-sociale con cause seconde, terze, ecc.
Il pensiero occidentale è nato sulle ceneri di troppe persone e correnti di pensiero, sui cadaveri di gnostici, manichei, eretici vari, occultisti, streghe e stregoni. Ma da esso è anche sorto un contro-pensiero che alla fine si è cristallizzato intorno, ad esempio, alle idee marxiane (variamente sfaccettate e interpretate), che hanno iniziato a produrre analisi e tentativi di capire cosa stava accadendo, senza remore e timori apocalittici ma col senso preciso della storia e di quello che essa significava per l’occidente capitalistico.
Al di fuori di esso non vi è storia che, volenti o nolenti, non sia storia capitalistica e obliare tale fatto significa fare dell’ideologia, per quanto mascherata da pretesa critica “da sinistra” a certe correnti storiografiche. In tal senso, infatti, non si vuole porre in discussione l’evidenza dei fatti, così come da P. rilevata, cioè che fin dalle origini di uomini e di donne si sia sempre parlato, a proposito di stregoneria, e non di sole donne, e che il cosiddetto “fraintendimento” sia da addebitare a certa storiografia otto-novecentesca. Nessun problema in tal senso ma che si possa parlare di cosciente ribaltamento di uno status quo in senso erotico-sesusale da parte degli strati popolari di un tempo (non “octroyées” dall’alto), ebbene ciò mi pare pura forzatura storiografica o, peggio, sovrapposizione delle singole volontà di P. al senso più generale dei fatti storici.
E non è tutto qui. Il problema della comparazione ha posto, fin dalle origini, dei problemi di metodo: il frazerismo e tutto l’evoluzionismo otto-novecentesco sono proprio naufragati sul tipo di comparativismo adottato e suoi risultati ottenuti. Ora, se può stare bene che in svariate manifestazioni storico-religiose la sessualità e l’erotismo siano valutate nella loro giusta ragione, tale fatto trova i suoi limiti nella considerazione dell’omogeneità della necessaria omogeneità delle aree coinvolte nel processo di comparazione. L’India vedica, induistica e brahamanica non è l’Occidente cristiano, il Tibet non è l’Occidente cristiano e via elencando; così come le elaborazioni di Aleister Crowley e di tutto il “potpourri” di gruppi e sette misteriosofici non sono la totalità dell’Occidente cristiano né tantomeno (e per fortuna), la sua alternativa.
Prendendo spunto da un giusto argomento, P. è approdato a sponde errate e discutibili, soprattutto per quello che concerne metodi e risultati finali. E’ vero: egli correttamente evidenzia come il suo intervento escluda altre risposte, solo che le risposte ch’egli fornisce sono di tipo “olistico”, tese di fatto più al rifiuto di altro che a un confronto dialettico con il resto. Si sarà pure, da parte di chi scrive, letto il Malleus maleficarum in senso dichiaratamente antifemminista ma da lì a fare propria una tesi “androginista” ce ne corre.
Perché questo è il problema, e non la ricapitolazione dell’essenza umana in una metafora androgina, il culo di Satana o di altri demoni o escrementi vari. Analità, androginia, bisessualità, ecc. appaiono solo come epifenomeni, per quanto importanti, di fronte alle vere radici dei drammi storici rappresentati sia dalla caccia alle streghe e sia dai molteplici fenomeni di estraniazione presenti ai giorni nostri, di uno dei quali appare vittima lo stesso P. allora le crisi e oggi le crisi: sociali, culturali, istituzionali, politiche, economiche e, last but not least, religiose. E, purtroppo, allora come oggi, l’incapacità di risposta dal basso, in sede di «analisi» (se così vogliamo definirla): là un generico e variegato moto di resistenza (che al più, vedasi il caso valdese, divenne una sorta di «moto di cultura» – Merlo) e qua un ribellismo sterile e verbale, che copre un pauroso cedimento teorico e una dietrologia indegna del commentatore delle pagine marx-engelsiane sulla religione e che neppure gli innegabili meriti di Solilunio riescono più a pareggiare.
L’anatomia della scimmia si evince con riferimento all’anatomia dell’uomo: mediti P. su tale affermazione, ch’egli conosce molto bene, in relazione sia a se stesso e sia alla fase storico-culturale che viviamo. Il sonno della ragione genera mostri, allora come oggi.
