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«Streghe» di Grado Giovanni Merlo

Lovis Corinth - Streghe (1897)

Il breve saggio di Grado G. Merlo sulle streghe di Rifreddo e Gambasca (fine 1495)[1] prende spunto dall’edizione pubblicata nel 2004[2] dell’attività inquisitoriale in quei luoghi, ma si noda in un percorso che, dalla metà in poi, tenta di andare al di là dell’episodio in quanto tale, ed è proprio su quest’aspetto che si vorrebbe concentrare l’attenzione.


[1]) Streghe / Grado Giovanni Merlo. – Bologna : Il Mulino, 2006.

[2]) «Lucea talvolta la luna». I processi alle «masche» di Rifreddo e Gambasca del 1495 / Rinaldo Comba, Angelo Nicolini. – Cuneo : Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo, 2004.

Fernand CURRIÈRE, Récits et traditions de la Montagne Noire : Présentés et annotés par Jean-Pierre Piniès, in “Folklore”, 1988, nn. 209-212, Carcassonne, Garae éd‚ 118 p., ill.

Tersilla GATTO CHANUIl fiore del leggendario valdostano. Enciclopedia dei motivi e dei personaggi della tradizione narrativa popolare, Torino, Emme-Petrini, 1988, IX, 374 p., ill.

Jolanda STEVENINAu pays ensorcelé. Contes de Gaby et de ses alentours, Quart, Musumeci, 1990, 169 p., ill.

Vissuto fra 1876 e 1960, Fernand Courrière fu in primo luogo un insegnante di scuola e in secondo luogo un geologo affermato (addirittura richiesto negli Stati Uniti per la ricerca di pozzi petroliferi). Per ultimo – e solo grazie al presente volume, giacché in vita, non ebbe mai la ventura di pubblicare articoli di carattere folclorico – un attento osservatore etnografico della sua terra natia, il triangolo compreso fra Carcassonne, Béziers e la strada statale 112 che collega la stessa Béziers a Toulouse. Di questa zona è parte la Montagne Noire, cui il titolo del volume e i racconti – in specifico uno, sui suoi primi abitatori – fan riferimento. Jean-Pierre Piniès, curatore del volume, segue passo per passo i singoli racconti, e di essi individua i riferimenti più generali in relazione alla famosa classificazione “tipologica” proposta da Aarne-Thompson, nonché – per quel che concerne l’area francese e quella più specificatamente occitana – ad altre opere indicate nella bibliografia finale. Scopriamo così che Courrière ci ha mostrato la presenza di un racconto del tipo 2200, quelli cosiddetti “scherzo” (1), adoperati da chi raccontava per tirare il fiato o per burlarsi dell’uditorio; o del tipo 922 (“Il pastore sostituendosi al prete risponde alle domande del re” – nel nostro caso un Signore della zona e un mugnaio); e così via.

Tersilla GATTO CHANU. – Leggende e racconti popolari del Piemonte, Roma : Newton Compton, 1986, 301 p., ill. (Quest’Italia; 99).

Tersilla GATTO CHANULeggende e racconti della Valle d’Aosta, Roma, Newton Compton, 1991, 309 p. (Quest’Italia; 164).

Ennesimi capitoli d’una ricerca intorno al patrimonio narrativo popolare e ulteriori volumi dedicati al folclore orale nella più ampia collana della Newton Compton, ecco, a distanza di cinque anni l’uno dall’altro, due volumi della Gatto Chanu.

Se un altro lavoro della Gatto Chanu da me su questa rivista già recensito (1) aveva il pregio di porsi come una raccolta di leggende di carattere enciclopedico (quindi, v’è da presumere, esaustiva per quel che concerneva l’area interessata), questi se ne discostano alquanto, non foss’altro che per le ampie lacune che presentano le pubblicazioni. Per la zona valdostana, ad esempio, dai 520 racconti censiti nell’altro volume, scendiamo a meno di 60; e non dissimile è il caso piemontese, ove i racconti antologizzati risultano poco più di 60, cifra invero assai misera se pensiamo alla regione e alle sue plurime espressioni popolari (fra le quali quelle delle Valli Valdesi, assolutamente non citate, neppure in bibliografia).

A CHI VA REALMENTE ATTRIBUITA “LA TRADIZIONE CELTICA” E, SOPRATTUTTO, “LA CONCEZIONE MAGICA DELLA NATURA”? Note a proposito di un articolo di Edoardo Longo (Rivista CAI 5/1993)

MoreauJasonEtMedee

Gran parte degli studi condotti intorno alla magia, alle superstizioni o alle credenze religiose precristiane, sia entro il nostro mondo e sia in realtà socioculturali esterne, è sempre partita da un assunto ben preciso: e cioè che questo mondo, questo sistema socioculturale, il nostro per intenderci, fosse il punto d’arrivo – positivo o negativo (e lo vedremo) – di un processo plurimillenario di molteplici evoluzioni (culturale, sociale, religiosa, ecc.). In definitiva, l’ultimo dei mondi possibili, quello della massima realizzazione o degli aspetti negativi o di quelli positivi in relazione agli obiettivi dell’analisi e, soprattutto, delle scelte di ogni singolo studioso.

MARIA SAVI LOPEZ, Leggende delle Alpi, rist. anast., Torino, Il Punto-Piemonte in Bancarella, 1993, XXXI, 358 p. , ill.

Preceduto da una prefazione di Massimo Centini, che pare meno un’introduzione all’opera della Savi Lopez e più un riassunto delle idee di Centini stesso sui problemi connessi allo studio delle leggende, il volume di Maria Savi Lopez denota, proprio dal confronto con le circa 30 pagine di Centini e al di là dell’inevitabile linguaggio vetusto, un approccio allo studio del patrimonio leggendario popolare e delle sue numerose scaturigini che, mutatis mutandis, potrebbe suscitare invidia in tanti studiosi contemporanei, Centini incluso.

Giuseppe BONOMO : Caccia alle streghe, Palermo, Palumbo, 1985, 3. ed., XCVI, 548 p.

Cecilia GATTO TROCCHIMagia ed esoterismo in Italia, Milano, Mondadori, 1990.

Cecilia GATTO TROCCHIViaggio nella magia, Roma-Bari, Laterza, 1993, 218 p.

Alfonso M. DI NOLALo specchio e l’olio. Le superstizioni degli italiani, Roma-Bari, Laterza, 1993, XII, 147 p.

Questi quattro testi, seppur editi in un lasso di tempo di otto anni, possiedono un comune denominatore, ovvero quello di affrontare le problematiche connesse al permanere di espressioni magico/“superstiziose” entro la nostra società, ufficialmente razionale e sicuramente tecnologica e industrializzata (o, meglio, post-industrializzata).

LUCIANO PARINETTO, Solilunio, Roma, Pellicani, 1991

1. Ennesimo tentativo di dar conto di ciò che sta dietro alla caccia alle streghe, al Sabba, alla figura della strega in quanto esclusivo elemento femminile.

La critica, di per sé, è giusta, nel senso che la lettura delle fonti inquisitoriali operata da P. conduce dritta verso il netto rifiuto di una interpretazione in senso esclusivamente femminile della figura della strega. E’, quindi, più corretto integrare nello stereotipo sabbatico-stregonesco l’elemento maschile e in tal modo non si può non condividere l’analisi di P.

Ma P. non si ferma qui. Sull’onda dei suoi precedenti studi, tenta di superare l’Aldiquà della lettura di inquisitori e storici della stregoneria per inoltrarsi nell’Aldilà di ciò che a suo giudizio è il vero motore primo dello stereotipo stregonesco femminilmente determinato. Ovvero la ruolizzazione sessuale esasperata, l’erotismo compresso, la negazione di qualsivoglia (seppur implicita) messa in discussione dello status quo sessuale allora esistente, la riconferma quale valore supremo della “sacra famiglia”.

Va tutto bene, Nondimeno, di primo acchito, ciò che appare è il rovesciamento dell’elemento sessuale esasperato operato da trattatistica e, per certi versi, esasperato dagli studi Otto-Novecenteschi: dal femminile sovradeterminato, P. transita al sesso tout court come elemento liberatorio-libertario dapprima represso e poi nucleo portante della rivoluzione, d’una sortita dall’alienazione per sfociare nelle società non alienate e non alienanti.

Come tutte le interpretazioni unilaterali (seppure aperte – come premette lo stesso P. – ad altre interpretazioni), questa se, da un lato, rifiuta giustamente altre interpretazioni unilaterali (una per tutte: la visione murrayana del culto stregonico quale culto di fertilità, riproposta da C. Ginzburg nella Storia notturna), ha il limite di tante altre interpretazioni unilaterali, che tendono a ricondurre all’unità a molteplicità del reale, soprattutto quando questa reductio ad unum è di carattere squisitamente ideologico, come nel caso della sessualità in tutte le sue sfaccettature.

Non solo. P. tenta la coniugazione di suggestioni para-marxiane sulla rivoluzione e sulla liberazione con ipotesi idealistico-spiritualiste (o irrazionaliste) di matrice orientale, occultistico-alchemiche, ecc., tese alla riunificazione delle polarità umane, della dicotomia presente nella natura umana (maschio/femmina, ying/yang, sole/luna e così via). Il comparativismo adottato, se riposa sulla giusta premessa dell’unitarietà della natura umana, esaspera in modo fuorviante il discorso e ciò che alla fine rimane è il puro nulla. Vale a dire, da un lato una critica radicale e puntuale alle fonti antiche e moderne ma, dall’altro, il non aggiungere spunti nuovi rispetto a quel che già si può pensare, marxianamente, intorno a un nuovo tipo di società. Prefigurare, con P., una critica sessuale al sessismo delle istituzioni di un tempo, significa fare della storia ideale o, peggio, della storia come noi l’avremmo voluta.

Nonostante il giusto risalto alla presenza dell’elemento maschile entro lo stereotipo sabbatico-stregonesco, risulta ben difficile leggere la storia della caccia alle streghe e della sue premesse come la lotta aperta e dichiarata di un potere contro un altro, antagonista e cosciente del suo esserci e del suo lottare. In questo senso, l’ottica di P. tende ad accostarsi ad altri approcci, di natura “politicistica”, che tendono a ricondurre le dinamiche storico-sociali alla contrapposizione di schieramenti di fatto politicamente determinati (cfr. Giorgio Galli, occidente misterioso). Che gnostici, ermetici, alchimisti, occultisti vari, streghe, maghi di varia stirpe, ecc. non abbiano trionfato è un dato ovvio (giudicato a posteriori) e per certi versi positivo, nel senso che nella preistoria della storia umana si sono accumulate le contraddizioni che ora ci si parano dinanzi e che stanno conducendo il capitalismo (con annessi e connessi) verso sempre più esasperate tensioni e verso la presa di coscienza di un suo razionale superamento. Ciò che non fu in passato nelle ricerche, ad esempio, degli alchimisti e ciò che non è nelle dottrine orientali sulla necessità di una ricomposizione dell’essere umano; ciò che non fu nell’esasperato dualismo di correnti religiose e ciò che non è, per fortuna, nella ricerca di equilibrio interiore di troppi gruppi para-religiosi variamente rampollanti.

A noi tutti fanno orrore le stragi di innocenti perpetrate nel corso dei secoli in nome di… alla stessa stregua fanno ribrezzo i gulag, le guerre di espansione e i processi di globalizzazione e di riduzione all’uno delle diversità culturali. Ma da qui a fare della storia “morale” ce ne passa o, peggio della storia “moralistica”, con tanto di virtuali antagonisti ai protagonisti in negativo che prevalsero nel corso dei secoli e che paiono ancora risultare vincitori oggi (romani, franchi, papato, monarchie varie, imperi, repubbliche più o meno democratiche, imperialismi, capitalismi, ecc.). Vien da attribuire a P. ciò che Propp disse di se stesso e del suo metodo nella polemica che lo contrappose a Lévi-Strauss, cioè che nella stesura del suo Morfologia della fiaba egli partì dai dati empirici, reali, materiali, mentre le strutture degli strutturalisti erano tutte nella loro testa, essendo egli, appunto, un filosofo, marxianamente solo un filosofo!

2. Con l’inizio degli anni ’90 si consuma la parabola di studioso marxiano di P. Oramai lontana la sua antologia sul pensiero di Marx intorno alla religione, di lui serbiamo un buor ricordo, a epigrafe del quale valgono le parole di Cecilia Gatto Trocchi nel suo saggio su La magia: “Il nuovo magismo è ampiamente accettato anche dalla cultura di sinistra, la quale attraverso l’alchimia e l’occultismo cerca una palingenesi dell’uomo e del mondo che l’ideologia non ha compiuto” (p. 71).

Il P. la palingenesi si chiama “sesso”, cioè riappropriazione di sé attraverso la negaizone di tutto ciò che la traidzione occidentale e cristiana ha elaborato in tema di sesso, rapporti sessuali, famiglia, ecc. Beninteso, lungi da me negare il valore liberatorio del sesso e dei rapporti sessuali (leggasi: negare il diritto di tutti a una sessualità libera e disinibita), nondimeno, la posizione di P. mi appare come l’esatto rovesciamento di quella degli inquisitori; con, in più, l’aggravante dell’ideologia, cioè della falsa coscienza, ovvero dell’esasperazione di un elemento a danno di altri.

La storia, che è storia delle lotte di classe, non si riduce alla sola storia della lotte dei sessi anche se, occorre riconoscerlo, la liberazione delle coscienze passa anche attraverso la liberazione dei corpi e al libero accostamento degli esseri umani (non necessariamente di soli uomini e donne).

Certo, P. fin dall’inizio afferma che il giudizio della storia è un giudizio a tutto tondo, ivi compreso quello morale. Nondimeno, col solo giudizio morale (sto per dire: moralistico) non si va molto distanti, per certi versi non si fa storia e neppure lotta di classe. Il problema non è che lo “stragismo” (verso i “diversi”) feudalistico-clericale, statuale-clericale o solo clericale non faccia schifo, certo che fa orrore: il problema, però, è non confondere le cause prime del divenire storico-sociale con cause seconde, terze, ecc.

Il pensiero occidentale è nato sulle ceneri di troppe persone e correnti di pensiero, sui cadaveri di gnostici, manichei, eretici vari, occultisti, streghe e stregoni. Ma da esso è anche sorto un contro-pensiero che alla fine si è cristallizzato intorno, ad esempio, alle idee marxiane (variamente sfaccettate e interpretate), che hanno iniziato a produrre analisi e tentativi di capire cosa stava accadendo, senza remore e timori apocalittici ma col senso preciso della storia e di quello che essa significava per l’occidente capitalistico.

Al di fuori di esso non vi è storia che, volenti o nolenti, non sia storia capitalistica e obliare tale fatto significa fare dell’ideologia, per quanto mascherata da pretesa critica “da sinistra” a certe correnti storiografiche. In tal senso, infatti, non si vuole porre in discussione l’evidenza dei fatti, così come da P. rilevata, cioè che fin dalle origini di uomini e di donne si sia sempre parlato, a proposito di stregoneria, e non di sole donne, e che il cosiddetto “fraintendimento” sia da addebitare a certa storiografia otto-novecentesca. Nessun problema in tal senso ma che si possa parlare di cosciente ribaltamento di uno status quo in senso erotico-sesusale da parte degli strati popolari di un tempo (non “octroyées” dall’alto), ebbene ciò mi pare pura forzatura storiografica o, peggio, sovrapposizione delle singole volontà di P. al senso più generale dei fatti storici.

E non è tutto qui. Il problema della comparazione ha posto, fin dalle origini, dei problemi di metodo: il frazerismo e tutto l’evoluzionismo otto-novecentesco sono proprio naufragati sul tipo di comparativismo adottato e suoi risultati ottenuti. Ora, se può stare bene che in svariate manifestazioni storico-religiose la sessualità e l’erotismo siano valutate nella loro giusta ragione, tale fatto trova i suoi limiti nella considerazione dell’omogeneità della necessaria omogeneità delle aree coinvolte nel processo di comparazione. L’India vedica, induistica e brahamanica non è l’Occidente cristiano, il Tibet non è l’Occidente cristiano e via elencando; così come le elaborazioni di Aleister Crowley e di tutto il “potpourri” di gruppi e sette misteriosofici non sono la totalità dell’Occidente cristiano né tantomeno (e per fortuna), la sua alternativa.

Prendendo spunto da un giusto argomento, P. è approdato a sponde errate e discutibili, soprattutto per quello che concerne metodi e risultati finali. E’ vero: egli correttamente evidenzia come il suo intervento escluda altre risposte, solo che le risposte ch’egli fornisce sono di tipo “olistico”, tese di fatto più al rifiuto di altro che a un confronto dialettico con il resto. Si sarà pure, da parte di chi scrive, letto il Malleus maleficarum in senso dichiaratamente antifemminista ma da lì a fare propria una tesi “androginista” ce ne corre.

Perché questo è il problema, e non la ricapitolazione dell’essenza umana in una metafora androgina, il culo di Satana o di altri demoni o escrementi vari. Analità, androginia, bisessualità, ecc. appaiono solo come epifenomeni, per quanto importanti, di fronte alle vere radici dei drammi storici rappresentati sia dalla caccia alle streghe e sia dai molteplici fenomeni di estraniazione presenti ai giorni nostri, di uno dei quali appare vittima lo stesso P. allora le crisi e oggi le crisi: sociali, culturali, istituzionali, politiche, economiche e, last but not least, religiose. E, purtroppo, allora come oggi, l’incapacità di risposta dal basso, in sede di «analisi» (se così vogliamo definirla): là un generico e variegato moto di resistenza (che al più, vedasi il caso valdese, divenne una sorta di «moto di cultura» – Merlo) e qua un ribellismo sterile e verbale, che copre un pauroso cedimento teorico e una dietrologia indegna del commentatore delle pagine marx-engelsiane sulla religione e che neppure gli innegabili meriti di Solilunio riescono più a pareggiare.

L’anatomia della scimmia si evince con riferimento all’anatomia dell’uomo: mediti P. su tale affermazione, ch’egli conosce molto bene, in relazione sia a se stesso e sia alla fase storico-culturale che viviamo. Il sonno della ragione genera mostri, allora come oggi.

DurerStregaSuCaprone1500

Richard KIECKHEFER, La magia nel Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 1993, 300 p., ill., (Storia e memoria), [ed.or., Magic in the Middle Ages, Cambridge Univ. Press, 1989]

Rivolto a un pubblico di studenti universitari, La magia nel Medioevo, di Richard Kieckhefer, si pone quale necessaria prosecuzione di un suo precedente studio dedicato alla stregoneria nell’Europa tardomedievale, in quanto tale problematica non può prescindere da una sua ricollocazione entro un più ampio contesto magistico, di credenze nel potere di qualcuno o qualcosa.

George Frederick Watts - Fata Morgana

CRITICA AL RIDUZIONISMO FREUDIANO E AL PAN-SCIAMANISMO

Recensione deVolare al sabba : Una ricerca sulla stregoneria popolare / Cesare Bermani. – Roma : DeriveApprodi, 2008. – 347 p. – € 20,00.

A distanza di 17 anni dal precedente Il bambino è servito. Leggende metropolitane in Italia[1], torna Cesare Bermani procedendo sullo stesso solco d’indagine di carattere folclorico, vale a dire l’immaginario – questa volta – stregonesco-sabbatico, con tutte le implicazioni e i suoi annessi e connessi, sia storici che fantasmatici.

Nella premessa l’autore spiega sia il metodo sia l’oggetto di studio: il primo da intendersi come lettura di fatti folclorici dal punto di vista della cultura popolare e dei suoi studiosi, come il Carlo Ginzburg da I benandanti[2]sino a Storia notturna[3], dal quale Bermani riprende le coordinate di fondo e la griglia di riferimento per la lettura dei dati ch’egli s’è trovato dinanzi nel corso delle sue svariate inchieste sul campo tra 1965 e 1976, fino ancora al 1994 (cfr. pp. 16 sgg.), non trascurando la stretta correlazione col precedente saggio sopra citato che, come l’autore evidenzia, «a questa ricerca sulla stregoneria popolare si collega» (p. 19), in particolare, com’egli sottolinea, perché il «magismo – ben vivo e radicato dentro la società industriale – mi è quindi sembrato richiedere, per essere razionalizzato, anche delle riflessioni sulla “lunga durata”» (p. 19).

Giusto: il centro del problema è subito evidente, ma Cesare Bermani non si ferma qui e, sulla scia di Ernesto de Martino, si pone un quesito nodale, scrivendo che

«il rischio radicale della “perdita della presenza”, la categoria da lui [de Martino] utilizzata per darsi ragione dei comportamenti magici dei contadini lucani, non poteva forse permettere oggi di darci ragione anche e soprattutto di numerosi comportamenti metropolitani?» (p. 18).


[1]) Bari : Dedalo, 1991.

[2]) I benandanti : Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento. – Torino : Einaudi, 1966.

[3]) Storia notturna : Una decifrazione del sabba. – Torino : Einaudi, 1989.

Cesare BERMANI, Il bambino è servito. Leggende metropolitane in Italia, Bari, Dedalo, 1991, 405 p., ill.

Suddivisa in sette parti, più un capitolo introduttivo, è comparsa per i tipi della Dedalo una raccolta di leggende contemporanee, sorta di credenze, di dicerie e di luoghi comuni, che individui, Autorità, Istituzioni, ritengono per vere.

Si va, scorrendo l’indice, da un gruppo variegato di racconti intorno alla morte e al ritorno dei morti sotto forma di visioni e di fantasmi, a leggende concernenti i pericoli per la famiglia e i figli, alle dicerie sugli animali (tra i quali gli alligatori che paiono popolare le fogne delle grandi metropoli), al pericolo rappresentato dal contatto con gli stranieri, alle figurine addizionate con stupefacenti, per finire con la mitologia intorno all’AIDS e ai suoi untori.

(apparso su “Bollettino dell’Atlante Linguistico Italiano”, serie III, n. 11-16, 1987-1992, pp. 180-183).